Fino a qualche settimana fa, politici, media e osservatori dell’attualità internazionale potevano fare finta di non capire. Ora, dopo l’avvento del movimento dei Gilet gialli in Francia, non più.
In Europa è in atto un rigetto di massa delle oligarchie che in questi anni si sono fatte esecutrici dell’agenda mondialista e delle ricette economiche bruxellesi e tedesche, basate su austerità e deflazione.
I popoli europei respingono le oligarchie filo-bruxellesi
Nella maggior parte dei paesi europei, questo fenomeno di popolo ha assunto due caratteristiche:
- si è coagulato in movimenti politici che hanno partecipato democraticamente alle elezioni. In alcuni casi vincendole, come in Italia, in Ungheria, in Austria. Oppure, come in Germania, diventando una spina nel fianco delle forze di governo;
- ha acquisito un duplice profilo: identitario, di riscoperta delle radici europee, e anti-immigrazione.
Europa, soffia un vento di rivolta. Identitaria
I paesi del gruppo di Visegrad sono stati i primi ad entrare in rotta di collisione con l’Unione europea sulle questioni dell’identità e dell’immigrazione. In Italia, gli stessi temi spiegano in ampia misura la vittoria della Lega di Salvini e del M5S alle elezioni politiche di marzo.
La scriteriata politica migratoria della Cancelliera Merkel è alla base del costante rafforzamento dell’opposizione di matrice identitaria in Germania. Identità e immigrazione hanno inciso in modo determinante sul voto a favore della Brexit in Gran Bretagna.
In Francia la rivolta ha carattere sociale
In Francia il quadro si presenta in parte diverso.
Sia chiaro: la crisi economica, la disoccupazione, la stagnazione dei redditi hanno influito sull’opinione pubblica in tutti i paesi europei.
Tuttavia, la Francia è il primo grande paese europeo dove la protesta popolare trae origine da rivendicazioni economico-sociali. Le manifestazioni dei Gilet gialli sono iniziate e si sono diffuse a macchia d’olio a seguito della decisione del governo di aumentare le imposte, in particolare sui carburanti.
Di fronte alla chiusura al dialogo delle autorità francesi, in pochi giorni le proteste hanno finito per assumere una connotazione politica di contestazione dell’assetto di potere transalpino e del Presidente Macron.
Chi sono i Gilet gialli
Quella dei Gilet gialli è soprattutto la protesta dei francesi autoctoni della provincia. Il petit peuple contadino che fece la grandezza delle Armate di Napoleone. Un popolo rurale che da anni ha sempre più difficoltà a vivere decentemente. Un popolo vittima delle politiche mondialiste.
Ma non ci sono solo i francesi delle campagne. A partire dagli anni ’80 molti francesi sono stati espulsi dalle città. Essi sono vittime di due globalizzazioni. Una dall’alto, l’aumento dei prezzi degli immobili e, in generale, del costo della vita nelle metropoli. L’altra dal basso, la crescente insicurezza portata nelle banlieues dall’immigrazione.
In questo senso, quello dei Gilet gialli è un movimento di lavoratori. Di membri di classi sociali produttive. Non i teppisti etnici delle banlieues e gli sbandati dei centri sociali, principali responsabili degli scontri delle scorse settimane. Del resto, togliere la museruola alla teppa per screditare le ragioni dei manifestanti è una tecnica di gestione del dissenso ormai affermata.
I francesi sono stanchi dell’austerità bruxellese e tedesca
In Francia il costo sociale dell’austerità è stato altissimo. Negli ultimi anni, il popolo francese ha visto il suo benessere crollare.
I dati della Banca di Francia sono illuminanti. La crescita del Pil francese resta al di sotto della media Ue, mentre la disoccupazione è più alta. I francesi pagano sempre più tasse, ma il governo continua la sua politica di tagli ai servizi sociali. La mobilità sociale segna il passo.
Il commercio estero accumula deficit su deficit, dimostrando che l’austerità non è riuscita a migliorare la competitività della Francia.
Il nesso fra identità e economia
Il contrasto all’immigrazione non è un cavallo di battaglia dei Gilet gialli. Questo è un bene, nella misura in cui si toglie un argomento a chi – persino nel governo francese – ha senza vergogna cercato di attribuire ai Gilet gialli propositi razzisti.
Una possibile, parziale spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che, fra i grandi paesi europei, la Francia è fra i meno omogenei dal punto di vista etnico. Di qui una minore connotazione identitaria del movimento.
In realtà, il legame fra questione identitaria e questione economico-sociale esiste anche in Francia, anche se è meno palese. Il disagio dei Gilet gialli è acuito dalla circostanza che il governo francese riserva più attenzioni agli immigrati, sia in termini di politiche sociali, sia di narrativa.
La Francia non ha visto arrivare la rivolta dei Gilet gialli
L’ampiezza e l’intensità della rivolta popolare hanno sorpreso la Francia. I suoi mezzi di informazione. Gli intellettuali e i philosophes. I think tank.
Costoro erano troppo impegnati a spiegare ai francesi le priorità globali: l’accoglienza degli immigrati, indistintamente battezzati “rifugiati”, termine più rassicurante di “clandestini”; l’allarme femminicidio; la Gpa; i cambiamenti climatici; il bullismo nelle scuole.
Non una riflessione, però, sui problemi quotidiani delle classi popolari e del ceto medio impoverito. Con buon senso, una manifestante ha perfettamente riassunto il tema che intellettuali e politici non hanno saputo comprendere: “temono la fine del mondo mentre noi temiamo la fine del mese“.
Gilet gialli, un popolo trascurato da media e intellettuali
Agli occhi degli “intellos” e dei media transalpini, i francesi che oggi sono i Gilet gialli fino a ieri erano invisibili. Non erano rappresentati dai mezzi di informazione. Non erano oggetto di studio o di ricerca, se non di pochi, inascoltati autori.
Per l’intellighenzia francese, le classi popolari sono solo gli immigrati e i residenti delle banlieues, che peraltro in ampia misura coincidono.
Ma le classi popolari in Francia sono anche i Gilet gialli. Espulsi dalle città per ragioni economiche e di sicurezza. Espulsi dai media per motivi ideologici. Questo spiega perché il risentimento dei Gilet gialli è rivolto anche contro i mezzi di informazione.
Francia, istituzioni sempre meno rappresentative
Come non hanno avuto diritto ad una narrazione mediatica o al pensiero dei philosophes, i Gilet gialli non hanno rappresentanza politica.
Oggi più che mai la maggioranza parlamentare francese è minoritaria in seno all’opinione pubblica. Al secondo turno delle elezioni legislative 2017, hanno votato molto meno della metà degli aventi diritto: poco più di 20 milioni su 47.
La rappresentanza politica in Francia si fonda su una legge elettorale maggioritaria a doppio turno. Un meccanismo che ha effetti fortemente distorsivi. Il Fronte Nazionale con 8,7% dei voti ha ottenuto 8 parlamentari. La France Insoumise con 4,8% dei suffragi ha eletto 17 candidati. Il Pcf, con 1,2% ben 10 deputati.
A ciò si aggiunga che l’ascesa di Macron non ha radici nella società, non si appoggia su nessun movimento politico reale. Macron, del resto, definisce la sua elezione all’Eliseo come un’effrazione e sé stesso come “figlio di un’epoca brutale”.
Cresce la distanza fra rappresentanti e rappresentati
In altri termini, oggi le istituzioni francesi sono in mano a minoranze, come mai si era visto. Minoranze che usano le istituzioni per varare e condurre politiche che non corrispondono alle aspettative dei francesi.
Del resto, la maggior parte dei sondaggi dimostra che su temi come l’immigrazione, la giustizia, l’ordine pubblico, la sicurezza o i costumi, la maggioranza dei francesi non si riconosce nei provvedimenti dei governi.
Inoltre, negli ultimi anni l’Ue e la finanziarizzazione dell’economia hanno privato la politica di strumenti di governo dell’economia, acuendo così la percezione della maggioranza che i suoi diritti sono espropriati da minoranze organizzate.
In Francia il potere sta perdendo la bussola
I Gilets gialli hanno scombussolato un potere che si è rivelato privo della sensibilità politica per ascoltare la richiesta di aiuto che veniva dalla Francia profonda.
Oggi, dopo meno di un mese dall’inizio delle proteste, l’inquilino dell’Eliseo batte ogni record di impopolarità. E le autorità transalpine ancora faticano a capire che la loro narrativa non ha più presa su una parte crescente della popolazione.
Come si è detto, sul piano economico il Presidente francese non ha ottenuto risultati. Anzi, la scelta di Macron di legarsi mani e piedi alla Germania e alla sua politica di austerità ha accentuato la crisi economica francese.
La gestione politica dei Gilet gialli è stata disastrosa
Nel primo anno e mezzo di mandato, i francesi hanno perdonato molto a Macron. Rapporti a dir poco ambigui con figure discutibili, frequentazioni e iniziative che hanno delegittimato la stessa istituzione presidenziale.
Ma, nella gestione politica dei Gilet gialli, Macron è stato disastroso. Prima si è ostinato per settimane a non voler negoziare, poi ha ceduto sulla tassazione dei carburanti. Oltretutto screditando il Primo ministro Philippe. Troppo poco e troppo tardi.
La Francia è in un’impasse politica gravissima
La Francia si trova oggi in una fase di impasse politica di gravità assoluta. In Francia esiste una maggioranza sociale senza rappresentanza politica dei propri interessi.
Di fronte a questo stallo, Macron non è più in grado di dettare l’agenda politica, né di dare alla Francia le risposte che chiede. Né il sistema politico ed elettorale consente un cambio di regime.
Una situazione che quanto più si protrarrà tanto più è destinata a diventare pericolosa per la democrazia francese.
Macron non dà più le carte
Il quinquennato di Macron è politicamente morto. Il Presidente francese ha giocato tutta la sua partita politica sulla sua persona. Ora che ha contro di sé la maggioranza dei francesi, si ritrova privo di opzioni. L’Eliseo ha annunciato che il Presidente si rivolgerà alla Nazione e presenterà “misure concrete e immediate”. Secondo alcuni, potrebbe cercare un capro espiatorio, magari offrendo la testa del Primo ministro Philippe. Ma ormai si è innescata una dinamica contro Macron, che unisce i francesi.
In questo senso, Macron non sembra aver più nulla da dire alla Francia. Da buon ex-Rothschild non riesce a capire la Francia profonda e da quest’ultima è destinato a non essere capito.
Del resto, Macron è il Presidente della République che ha avuto l’improntitudine di affermare che non esiste una cultura francese. E – ammiccando alla moda del relativismo mondialista – che semmai “esistono delle culture in Francia”. Poteva mai, costui, comprendere fino in fondo il grande paese e il grande popolo che ha l’onore di guidare?
Oggi Macron è un problema per l’Europa
Oggi la Francia di Macron è un problema per l’Europa. In linea con la tradizione diplomatica francese, l’Eliseo ha cercato di riaffermare la diarchia franco-tedesca per perpetuare il proprio dominio sul Vecchio continente.
In Europa, Macron ha scommesso tutto sul rapporto con la Germania.
E ha perso tutto. Non aveva compreso che il prezzo del patto Parigi-Berlino era proseguire quell’austerità economica che gli avrebbe alienato il rapporto con il popolo francese.
Qual era l’interesse della Francia
Per molti versi, l’economia francese è in condizioni peggiori di quella italiana, che è più robusta sul piano industriale e ha una maggiore vocazione all’export.
L’interesse della Francia sarebbe stato quindi di mediare fra l’Europa del sud e l’Europa del nord. Aiutare a costruire un’equilibrata sintesi delle ragioni dei paesi meridionali e di quelli settentrionali. Parigi avrebbe potuto svolgere un ruolo centrale di pivot politico del Vecchio continente e temperare il rigore tedesco.
Purtroppo la brama di egemonia è stata troppo forte e ha finito per prevalere sui veri interessi francesi.
L’errore di Macron: credere la Francia pari alla Germania
Illudendosi di poter trattare alla pari con la più potente Germania, Macron ha commesso un errore strategico, forse irreparabile. Da un lato ha irreversibilmente compromesso la possibilità di accreditarsi come autorevole mediatore fra sud e nord Europa. Dall’altro, ha reso palese la debolezza della Francia rispetto alla Germania.
Per riequilibrare la diarchia con Berlino, Parigi dovrà pagare un prezzo politico altissimo. Magari il sostegno alle mai sopite brame tedesche per un seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Oppure mettere l’arsenale nucleare della Francia in comune con la Germania.
La condivisione della force de frappe nucleare con Berlino costituirebbe per Parigi la cessione del principale strumento della sua sovranità. Un boccone amaro da far ingoiare all’esacerbata opinione pubblica francese, per cui si dovrebbe mascherarlo come una tappa della costruzione di un esercito europeo.
La crisi della Francia di Macron è di legittimità, dunque politica
La vicenda dei Gilet gialli è una lezione per l’Europa e per l’Italia. La crisi, da sociale, si è rapidamente evoluta in una crisi di legittimità e in una crisi di regime.
Di fronte alla mondializzazione, il caso francese dimostra che oggi l’erosione della sovranità popolare è doppia. Non solo una parte importante della popolazione transalpina è rappresentata in modo inadeguato, ma le questioni politiche che contano non sono più decise in Francia o a favore della Francia.
Europa e Italia ricordino che solo la volontà popolare legittima il potere
In ultima analisi, la crisi dei Gilet gialli getta sul tavolo un dato politico su cui tutti in Europa – soprattutto a Bruxelles – dovrebbero interrogarsi: di fronte alle sfide della mondializzazione la democrazia sta smettendo di funzionare. La volontà popolare non è più rispettata. Viene meno il patto democratico fra rappresentati e rappresentanti. E viene minata la legittimità dei governi.
L’affaire dei Gilet gialli ha molto da insegnare anche all’Italia. Il Governo Conte è chiamato a prendere decisioni importanti in materia di economia e immigrazione. M5S e Lega riflettano su questo dato: il Governo avrà tanta più forza per difendere le sue scelte politiche quanto più queste saranno coerenti con la volontà dei cittadini. Perché la forza deriva dalla legittimità.
Gli Stati Uniti hanno capito i Gilet gialli
La lezione dei Gilet gialli sembra essere stata meglio compresa oltreatlantico. Con un semplice tweet, Donald Trump è riuscito in un triplice risultato: sottolineare che i governi non possono tassare i cittadini per finanziare iniziative dai dubbi risultati; demolire l’Accordo di Parigi sul clima; ridicolizzare Macron, per il quale qualche mese fa alcuni osservatori preconizzavano il ruolo di anti-Trump.
Lo scorso 4 dicembre, in un intervento al German Marshall Fund a Bruxelles, il Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ha chiesto: “L’Ue si sta assicurando che gli interessi dei paesi e dei loro cittadini siano posti prima di quelli dei burocrati qui a Bruxelles?”
È questa la domanda a cui noi europei dovremo dare una risposta.