La distruzione dei confini: il caso Kosovo

Smembrare la Jugoslavia. E poi strappare alla Serbia la storica provincia del Kosovo. A quali interessi risponde il piano di destabilizzazione dei Balcani messo in piedi da Usa e alleati europei?

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Kosovo

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Smembrare la Jugoslavia. E poi strappare alla Serbia la storica provincia del Kosovo. A quali interessi risponde il piano di destabilizzazione dei Balcani messo in piedi da Usa e alleati europei?

Il Kosovo è il cuore storico e religioso della Serbia. A Pec siede dal 1346 il Patriarcato ortodosso di Serbia. Nel 1389, con la sconfitta nella battaglia della Piana dei Merli ad opera dei turchi ottomani, ha avuto inizio il declino politico e militare che ha portato alla perdita dell’indipendenza serba nel 1459. Durante la dominazione ottomana, il Kosovo è stato progressivamente popolato da albanesi che si convertirono all’Islam, ottenendo così posti nevralgici nei ranghi dell’amministrazione imperiale.

Il Kosovo è stato sotto il dominio della Sublime Porta dal 1459 al 1912, tranne nel biennio 1689-1690 quando fu controllato dall’Impero asburgico. Nel 1912 è passato al Regno di Serbia, che aveva recuperato la sua indipendenza nel 1878. Dal 1915 al 1918 è andato al Regno di Bulgaria. Dopo la Prima Guerra Mondiale, sulle ceneri dell’Impero Austro-Ungarico, nel 1918 serbi, croati e sloveni hanno formato la Jugoslavia che – pur con radicali cambi di regimi e di forme di governo – ha continuato ad esistere fino al 1991. In tale cornice, il Kosovo ridivenne quello che sino ad allora era sempre stato, ossia una provincia serba.

Quali logiche politiche hanno dunque portato alla nascita, il 17 febbraio 2008, di un secondo Stato albanese nei Balcani?

1989: collasso del sistema europeo della Guerra Fredda

Secondo Diplomaziaitaliana, la spiegazione va cercata nell’evoluzione del sistema internazionale post Guerra Fredda. Dopo il 1989, il quadro politico in Europa ha subito mutamenti di portata sistemica.

  • La riunificazione della Germania, che ha portato alla rinascita di un grande polo di potere nel cuore stesso del continente. Un polo dalla vocazione ordinatrice dell’Europa, con una naturale predisposizione a proiettare la sua potenza politica ed economica non solo verso le aree di tradizionale influenza germanica ma anche, a sud-est, verso quelle dell’antico Impero Austro-Ungarico.
  • Il collasso dell’Unione Sovietica e del suo sistema di alleanze, che ha comportato il ridimensionamento della capacità di proiezione di potenza di Mosca e la sostanziale compromissione della sfera di influenza in Europa orientale e nei Balcani conquistata con la Seconda Guerra Mondiale.

Questo epocale riequilibrio di potenza, dalla straordinaria valenza storica e politica, è simboleggiato da una data poco nota ai più, il 1° settembre 1994: quel giorno, le ultime unità militari di Mosca lasciano la Germania per fare rientro in Russia, chiudendo simbolicamente un’epoca iniziata mezzo secolo prima.

Balcani, le mire di Usa, Gran Bretagna, Germania e Italia

Approfittando di questo terremoto geopolitico, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Italia – con al traino la Francia, che per molto tempo era invece stata tradizionale alleata di Belgrado – si sono intesi per smantellare la Jugoslavia e modificare in profondità gli equilibri nello scacchiere sud-orientale del vecchio continente.

Non potendo recuperare i territori persi con la Seconda Guerra Mondiale e le regioni già sotto il dominio di Vienna fino alla Grande Guerra, accelerare la disintegrazione della Jugoslavia rispondeva all’interesse della Germania di riportare l’Europa centrorientale e i Balcani ex-imperiali nella sua sfera di gravità politica ed economica.

Partecipando alla disarticolazione della Jugoslavia, Stati Uniti e Gran Bretagna si proponevano invece di conseguire due scopi.

  • Colpire al cuore l’influenza russa nello scacchiere.
  • Evitare che il vuoto di potere lasciato dalla Russia venisse occupato dalla sola Germania: ciò anche schierando una forte presenza militare Usa nella regione.

Il ruolo dell’Italia nella dislocazione della Jugoslavia rispondeva anch’esso a due obiettivi.

  • Porre termine allo storico problema nato nel 1918 di un potente Stato pan-slavo al centro e sulle coste dei Balcani, in grado di incidere sugli equilibri della regione danubiano-balcanica e nel Mar Adriatico.
  • Come per Washington e Londra, contestare a Berlino lo spazio politico che si sarebbe venuto a creare con il crollo di Belgrado.

Lo smantellamento della Jugoslavia

La liquidazione della Jugoslavia è stata relativamente rapida, anche se sanguinosa. 1991: indipendenza di Croazia e Slovenia. 1995: nascita di un nuovo Stato, la Bosnia-Erzegovina, dominato dalla maggioranza musulmana grazie al sostegno di potenze straniere, in un’alleanza apparentemente innaturale, vista però in azione in altri teatri.

Pakistan e Arabia Saudita, grazie ai loro servizi di intelligence hanno favorito l’afflusso in Bosnia di combattenti jihadisti e di ingenti quantitativi di armi.

Gli Stati Uniti, con la Cia e le aziende di contractors (in particolare, Dyncorp e MPRI-Military Professional Resources Inc.), hanno formato le unità combattenti islamiste e messo a disposizione “consiglieri militari”.

Cia e Jihad alleati dell’Uck albanese

In seguito, la stessa dinamica si è avuta anche in Serbia dove le forze separatiste albanesi del Kosovo e la loro organizzazione, l’Uck, hanno avuto il sostegno di Washington e dell’Islam politico. MPRI ha contribuito a formare le unità combattenti dell’Uck in campi di addestramento in Albania con la collaborazione del Bnd, il servizio di informazione di Berlino. Sauditi e pakistani hanno favorito l’infiltrazione nell’Uck di combattenti jihadisti, mentre dai campi d’addestramento di Al-Qaida in Afghanistan sono giunti in Kosovo elementi di punta del terrorismo islamico.

Dal 1998, grazie ai contractors americani, ai proventi della droga che le mafie albanesi fanno fluire dal Kosovo verso i ricchi mercati europei, al supporto umano, finanziario e logistico qaeidista, saudita e pakistano, l’Uck è diventata l’organizzazione più potente del Kosovo. Un’organizzazione in grado di far regnare il terrore fra i serbi della provincia e fra gli albanesi contrari al terrorismo.

Quali sono le ragioni alla base della scelta americana di favorire la nascita del Kosovo, un fatto politico privo di qualsiasi base legale ai sensi del diritto internazionale?

La nascita del Kosovo risponde agli interessi americani

La prima ragione è avvicinare le forze Usa al Medio Oriente e al Mediterraneo orientale. Di conseguenza, è stato necessario rischierare le truppe americane nei Balcani, spostandole dall’Europa centrale, dove erano di stanza dalla Guerra Fredda. Dalla metà degli anni ’90 del XX secolo, aperture e chiusure di basi Usa nel quadrante danubiano-balcanico fino alla penisola ellenica si susseguono senza sosta: Bosnia-ErzegovinaKosovoMontenegroMacedoniaRomaniaBulgariaGrecia.

La seconda è la sicurezza energetica. Gli Stati Uniti hanno forti mire sul petrolio del Caspio. Per conseguire questo scopo, avrebbero bisogno di un oleodotto che colleghi i porti bulgari sul Mar Nero con quelli albanesi sull’Adriatico. E poi verso Rotterdam in Olanda, per imbarcarlo alla volta della costa est degli Usa. Questa soluzione presenterebbe diversi vantaggi per Washington. Il primo, sviluppare una fitta rete infrastrutturale di pipelines, ferrovie, e linee di telecomunicazione che colleghino Caspio, Caucaso, Mar Nero e Mare Adriatico senza transitare dalla Serbia e, quindi, sottratta al controllo della Russia. Il secondo, evitare la strettoia del Bosforo. Il terzo, legare gli interessi di Albania, Macedonia e Bulgaria ai propri.

In questa cornice, il Kosovo è il crocevia di diverse rotte economiche: l’asse Burgas-Durazzo, che collega il Mar Nero e la regione del Caspio con l’Adriatico e l’Europa centrale; l’asse Budapest-Salonicco, che collega l’Europa centrale alla Grecia, avvicinando quest’ultima alla sfera di influenza Usa.

Controllare il Kosovo significa controllare i flussi economici nell’area danubiano-balcanica

La terza ragione risiede nelle importanti risorse minerarie del Kosovo. Questo piccolo paese di circa 10.900 km2 è in Europa uno dei più ricchi di lignite (terze riserve mondiali), ma anche di piombo e di zinco. Pristina possiede anche riserve di oro, argento. E, infine, nickel, tungsteno e zircone, minerali utili per l’industria militare.

La quarta è che il sistematico stravolgimento dei confini storici delle nazioni risponde all’obiettivo strategico di impedire l’emergere di un nuovo ordine multipolare destabilizzando gli attori in grado di svolgere un ruolo di riequilibrio. La distruzione dei confini ha una duplice valenza. Da un lato, incoraggia i movimenti separatisti che minacciano l’integrità territoriale dei loro principali avversari, Russia e Cina. Dall’altro, crea dei precedenti fondati sul fatto compiuto, che potrebbero domani giustificare la revisione delle carte geografiche del Medio Oriente a vantaggio dei loro alleati nella regione, in primis di Israele.

Il Kosovo, un problema per il diritto internazionale

L’indipendenza del Kosovo resta un problema per il diritto internazionale. Il diritto all’autodeterminazione, vale a dire il diritto di un popolo di determinare la propria forma di governo, riguarda i popoli sotto il dominio di uno Stato straniero.

Esso non si applica alle minoranze etniche, nella misura in cui possono partecipare democraticamente alla vita politica del paese. Inoltre, il diritto all’autodeterminazione non può consentire o incoraggiare azioni in grado di attentare all’integrità territoriale di uno Stato sovrano. Il che, come si è visto, è esattamente quanto è avvenuto sul campo in Kosovo.

Del resto, che il Kosovo abbia tutti i requisiti per poter essere considerato uno Stato resta una questione controversa per la dottrina.

Il fine ultimo degli Usa è impedire la nascita di un’Europa-potenza

La quinta ragione ha un profilo sinistro per i paesi d’Europa, soprattutto se si tiene conto delle ondate terroristiche che dall’inizio della decade 2010 hanno colpito il vecchio continente, innanzi tutto in Francia, in Gran Bretagna e in Germania.

Anche se dal settembre 2001 l’islamismo è diventato un avversario militare degli Stati Uniti, esso – o almeno sue importanti frange – resta in sostanza un alleato politico ed uno strumento di destabilizzazione dell’Europa e della Russia. Uno strumento che permette di perseguire diversi obiettivi, legati fra di loro:

  • prevenire che l’Europa si rafforzi come come soggetto politico;
  • impedire o quanto meno limitare il ritorno della Russia come attore primario sulla scena internazionale.

Sullo sfondo, nel lungo termine, l’obiettivo strategico è evitare ad ogni costo un’integrazione euro-russa, l’unica strada per la costruzione di un’Europa-potenza: una prospettiva, questa, che sarebbe un disastro geopolitico per gli Usa.

La costruzione di uno Stato per i popoli musulmani della Bosnia-Erzegovina così come per quelli del Kosovo, si inserisce appieno nella tradizione della politica estera americana della Guerra Fredda: una sostanziale alleanza islamo-americana contro l’Europa e la Russia.

Non vi è dubbio, dunque, che liquidando la Jugoslavia alcuni paesi europei fra i quali l’Italia hanno ritenuto di perseguire i propri interessi. Nondimeno, è altrettanto indiscutibile che in ultima analisi questa iniziativa è andata contro l’interesse collettivo di costruire un soggetto politico europeo, un’Europa-potenza in grado di svolgere un ruolo da protagonista delle relazioni internazionali.

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