Il Presidente Trump ha finalmente licenziato il suo Consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton. La decisione ha riscosso ampio plauso negli Stati Uniti e a livello internazionale. Tuttavia, non andrebbe dimenticato – e forse perdonato – che era stato lo stesso Trump ad assumerlo. Un’assunzione che ha seminato ulteriore incertezza e timori sulla conduzione di una politica estera che raramente ha raggiunto gli attuali livelli di incoerenza.
La politica estera Usa vive oggi una fase contraddittoria
Fino a pochi giorni fa gli Usa stavano per concludere, dopo diciotto anni di guerra in apparenza inconcludente, un accordo di pace con i Talebani, rei di aver offerto sostegno logistico ad Osama bin Laden e Al Qaeda per gli attentati dell’11 settembre 2001.
Nel frattempo, da mesi Washington intensifica la guerra economica contro l’Iran. Ciò malgrado il sostegno dato da Teheran al rovesciamento del governo dei Talebani in Afghanistan nel 2001 e l’impegno a fianco della Coalizione anti-Isis per sconfiggere il sedicente Stato Islamico sul territorio iracheno nel 2014-16. Tutto questo perché l’anno scorso Trump, che per alcuni coltiverebbe una sorta di ossessione personale nei confronti dei quanto realizzato da Obama, ha deciso di gettare alle ortiche l’accordo nucleare con l’Iran siglato con fatica appena tre anni prima. Introducendo così un ulteriore fattore di tensione, assolutamente non necessario in un panorama internazionale già di suo preoccupante e complesso.
Da due anni, la Casa Bianca annuncia un fantomatico Deal of the Century per sistemare definitivamente il Medio Oriente. Un accordo affidato al genero di Trump, Jared Kushner, che vanta una forte competenza nel settore… immobiliare! E la cui principale preoccupazione sinora manifestata verso i Palestinesi è stata quella di metterli in condizione di pagare un mutuo.
Gli Usa, ancora garanti dell’ordine internazionale?
Qualcosa deve essere andato veramente storto se da tre anni a questa parte gli Usa, che hanno creato e tutelato per decenni l’attuale ordine internazionale, hanno iniziato a picconarlo. E questo mentre l’ultima grande potenza formalmente comunista, la Cina, si è precipitata a difenderlo con il Presidente Xi Jing Ping al Vertice di Davos il 17 Gennaio 2017.
Quanto prodotto finora da Washington è un esercizio di vertigini, non una politica estera. Un comportamento che, purtroppo, può essere paragonato solo a quello di un “adolescente in tempesta ormonale”.
Bolton, sintomo di un malessere profondo che affligge la politica Usa
Pur essendo vero che non c’è mai limite al peggio, potrebbe essere difficile trovare a Washington un candidato più falco di Bolton per l’incarico di Consigliere per la Sicurezza Nazionale.
Sarebbe però ingeneroso attribuire al solo Bolton questo desolante panorama. E sarebbe azzardato sperare che con l’allontanamento di Bolton la politica estera statunitense possa subire una sterzata salutare. Bolton rappresenta soltanto la manifestazione più estrema di un malessere generale e profondo che da tempo affligge la politica di Washington. Un malessere che afferisce al modo in cui l’America concepisce sé stessa e il suo ruolo nel mondo.
L’eccezionalismo americano, fattore di squilibrio internazionale?
Gli Stati Uniti si considerano un paese eccezionale. Difficile negargli tale qualità alla luce di quanto hanno realizzato nel corso della loro storia. Non sono i soli a ritenersi tali. Anche i nostri cugini francesi coltivano, a loro modo, tale convinzione. E anche la Cina sta manifestando, in modo crescente e assertivo, una sua forma di eccezionalismo.
Gli Stati Uniti, tuttavia, sono il solo paese che aspira genuinamente ad esportare il proprio modello politico e di vita in tutto il pianeta: ciò partendo dalla convinzione – incastonata nel Dna di quasi tutti i suoi cittadini – che solo quando tutto il mondo sarà come gli Usa l’umanità si sarà realizzata e potrà essere prospera e felice.
Eccezionalismo Usa contro identità delle nazioni
Può tuttavia accadere – e infatti puntualmente accade – che altri paesi preferiscano modelli politici e di vita alternativi. Per motivi storici, culturali, religiosi, in una parola: identitari. Ebbene, da qualche tempo a questa parte, l’establishment politico Usa, nelle sue diverse articolazioni, sembra vittima di una rappresentazione distorta e grossolana della realtà. Una rappresentazione che lo porta a ritenere che i paesi che non vogliono abbracciare l’American Way of Life sono privi di legittimità. E che, in quanto tali, costituiscano una minaccia per la leadership e la sicurezza degli Stati Uniti.
Si tratta di un processo che inevitabilmente innesca tensioni. E che si avvita in una spirale di escalation e demonizzazioni, che sfociano in vere e proprie fobie generalizzate, come è il caso attuale nei confronti di Russia, Cina e Iran.
Le relazioni Usa-Cina, un caso di scuola
La dinamica che da qualche anno è stata impressa alle relazioni tra Stati Uniti e Cina appare un caso di scuola. È plausibile che Pechino possa aver adottato nel tempo pratiche commerciali scorrette e furti di proprietà intellettuale. Tuttavia, spiegare l’ascesa cinese solo attraverso questo prisma, come tende a semplificare l’Amministrazione Trump, appare un’ulteriore rappresentazione distorta della realtà.
Nella sua essenza, l’ascesa della Cina è l’ennesima ferita che gli Stati Uniti si sono auto-inflitti. Negli ultimi trent’anni, Washington ha commesso due errori strategici. Primo, si è invischiata in costosissime guerre senza fine in Medio Oriente. Secondo, ha spasmodicamente declinato l’attività economica in chiave di finanza speculativa. Entrambe le scelte hanno arrecato enormi danni. Agli Stati Uniti e anche al resto del mondo, come insegnano la crisi dei mutui subprime del 2008 e le ondate di rifugiati verso l’Europa. Al contrario, Pechino ha investito e innovato, sottraendo alla povertà 850 milioni dei suoi cittadini. Oggi il conto di queste scelte è arrivato.
Scendendo dai massimi sistemi al micro-management, è cronaca recente lo spettacolo offerto dall’Inviato Speciale del Presidente americano per l’Iran, Brian Hook. Questi ha inviato una e-mail al comandante della petroliera iraniana Adrian Daya 1 per diffidarlo dallo scaricare il suo carico in Siria, alternando tentativi di corruzione e minacce. Si tratta di comportamenti che purtroppo appartengono ad alcuni gruppi organizzati di alcune regioni dell’Italia meridionale, che mai dovrebbero costituire il modus operandi di una grande potenza come gli Stati Uniti.
Politica Usa, il problema è la cultura profonda, non le competenze
Il Presidente Trump potrà anche scegliere una personalità eccezionale e il più grande esperto di affari internazionali del pianeta come Consigliere per la Sicurezza Nazionale. Questi, tuttavia, potrà migliorare ben poco la coerenza dell’azione internazionale e l’immagine degli Usa, se alcuni aspetti della cultura e della politica americana non saranno nel frattempo modificati.
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