Italia, la ricostruzione nazionale passa da fiducia e coesione sociale

Gli italiani sono un popolo che si sente insicuro nei propri confini. È a questa, non infondata, sensazione che la politica deve rimediare, mettendo al cuore della sua azione i cittadini e i loro diritti. Recuperando coesione nazionale e fiducia nelle istituzioni si può superare la lacerazione fra cittadini e Stato.

Davanti ai deludenti esiti dei negoziati europei, si deve prendere atto con amarezza che la cornice di protezione internazionale dell’Italia è inadeguata. E che la “solidarietà europea”, se mai ci sarà, servirà poco nell’immediato e male per il futuro. Davanti alla recessione l’Italia si deve aiutare da sola, investendo su lavoro e economia reale, perché non la aiuterà nessuno.ricostruzione nazionale coesione

Non c’è rilancio economico senza coesione sociale e fiducia nello Stato

Nell’attuale dibattito è singolarmente assente quello che invece dovrebbe essere il punto centrale. La ricostruzione dell’Italia non può prescindere da due fattori fondamentali di natura non economica. Coesione nazionale, da un lato. Fiducia del popolo italiano nelle istituzioni nelle scelte di politica economica del governo, dall’altro.

In Italia coesione e fiducia vengono minate dall’aggressività di un governo, sempre più minoranza nel paese, che neppure davanti a una tragedia nazionale ha deposto per un attimo le armi della polemica politica. Ancora una volta, la lotta per il potere sta prevalendo sul senso dello Stato e sulla tutela dei cittadini.

Coesione nazionale messa in crisi dalla polemica politica

La coesione nazionale è oggi messa apertamente in crisi. Una deriva lacerante, questa, che per l’Italia può essere senza ritorno. Gli appelli del capo dello Stato all’unità sono rimasti inascoltati. È evidente che la sospensione della democrazia di questi due mesi non ha avuto un analogo effetto sulla polemica politica. Anzi, questa si è intensificata in un circolo vizioso senza esclusione di colpi e con non poche cadute di stile istituzionale.

Accuse ad alcune regioni e minacce di commissariamento. Guerra delle mascherine a fini di politica interna e di scelte politiche internazionali – alcune certamente avventurose. Dichiarazioni di chiusura di regioni verso altre in grave difficoltà sanitaria. Questo incessante stillicidio di attacchi si è susseguito in un inquietante vuoto istituzionale e politico. Alimentando, oltretutto, insensati rancori fra il Nord e il Sud del paese.

Il Nord, la parte più sviluppata del paese che dovrebbe trainare la ripresa nazionale, viene attaccato ogni giorno senza alcun riguardo per l’emergenza Coronavirus che, proprio lì, ha raggiunto punte di assoluta drammaticità. Al dolore dei cittadini si aggiungono delusione e senso di abbandono. Quanti esponenti del governo si sono recati in visita agli italiani sofferenti? Persino l’algido Macron, in Francia, l’ha fatto. Basta scorrere la stampa straniera per comprendere il valore della coesione nazionale e per trarre le conclusioni sulla colpevole anomalia italiana.

Fiducia, servono istituzioni al servizio dei cittadini non di capitali straniere

L’altro fattore essenziale per la ricostruzione nazionale è la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Il perché è presto detto. Il risparmio privato dei cittadini italiani ammonta a circa 4.200 miliardi di euro. Proprio ai risparmi degli italiani molti paesi dell’Unione europea guardano con atteggiamento polemico quando si tratta di suggerire scelte di politica economica all’Italia: misure di austerità, tagli della spesa pubblica, inasprimento della pressione fiscale, patrimoniale.

Proprio le voci ricorrenti su una patrimoniale vengono percepite dai cittadini italiani come emanazione di progetti elaborati a Bruxelles oppure in altri importanti centri europei. Le indiscrezioni relative a una patrimoniale che si susseguono da marzo hanno avuto, fra i loro effetti, l’uscita di ben 104 miliardi di euro dall’Italia. Una perdita finanziaria secca che in buona sostanza ha già in parte vanificato l’intervento della Bce.

Gli italiani sono egoisti, non provano amore patrio? La risposta è no. Senza punti di riferimento istituzionale, gli italiani sono disorientati e impauriti. Questa atmosfera da “si salvi chi può” è accentuata dalle nomine di questi giorni. L’ennesima spartizione di poltrone, senza alcun rispetto per la tragedia umana e per le legittime paure dei cittadini, che ha distribuito laute prebende a amici, amichetti, parenti e sostenitori dei partiti di maggioranza. Ora già si parla di aumentare le indennità dei parlamentari. Luigi Einaudi parlava di libertà economica, coesione sociale, autorevolezza delle istituzioni e rigore morale.

Economia, lavoro e fisco alimentano l’angoscia degli italiani per il loro futuro 

Queste voci, per di più, si insinuano in un quadro di forte incertezza per il futuro a cui non è estranea una fiscalità oppressiva e sempre più minacciosa. Il rinvio delle scadenze fiscali alla seconda metà dell’anno impedisce di rateizzare oppure di scalare al 2021 il pagamento dei tributi. Tuttavia, il rinvio disposto dall’esecutivo non è in tutta evidenza sufficiente. Semplicemente, l’Italia non è pronta a pagare per intero le imposte perché, nella tempesta della recessione, non potrà.

Se è vero che non si supererà questa crisi economica senza recuperare la fiducia nei confronti delle istituzioni, quella sinora seguita non è la strada corretta. Le stime del Fmi per il primo trimestre del 2020, pur prudenziali, sono pessime: a parte la Grecia, l’Italia avrà la peggior performance economica dell’intera Ue. A fronte di previsioni del Def brutali (Pil -8%, deficit +10,4%, debito al 155,7%), nessuna delle misure annunciate dal Conte bis è sinora arrivata.

In questo quadro, il tema centrale è come recuperare coesione nazionale e fiducia dei cittadini. A tale fine, occorrerebbe che i pubblici poteri adottino un piano di ricostruzione nazionale imperniato su quattro assi.

Italia, proseguire il cammino europeo su posizioni di difesa degli interessi nazionali

1. Chiarire in maniera trasparente la posizione italiana verso l’Ue. La questione per l’Italia non è restare nell’Ue o uscire, ma come proseguire il suo cammino europeo su posizioni di dignità e di effettiva tutela degli interessi nazionali.

Il dibattito è concentrato sul Mes e sui coronabond, perché sono diventati oggetto della dialettica politica interna. Ma in Europa si gioca una partita ben più importante: la partecipazione dell’Italia al bilancio europeo. Sulla base della proposta della Commissione, il conto per l’Italia passerà da 104,37 miliardi di euro nel 2014-20 a 106,89 nel 2021-27. 2,52 miliardi in più, spalmati su 7 anni. L’Italia è il terzo contributore netto, in un’Ue dove solo 7 paesi pagano (Belgio, Danimarca, Germania, Francia, Olanda, Austria, Finlandia), mentre altri 20, a cominciare dalla Spagna, ricevono. A oggi poco si sa su quanto l’Italia riceverà dal bilancio comunitario, ma le previsioni sono pessime per gli annunciati tagli alla politica di coesione di cui il Bel Paese beneficia per lo sviluppo del Mezzogiorno. Tuttavia, se oggi l’Italia è più povera di 7 anni fa, il paradosso è che resta uno dei principali contributori al bilancio Ue.

Alla luce di questa circostanza, vanno perseguiti due obiettivi. Primo, rivedere le quote degli Stati a sostegno del bilancio Ue. Secondo, ottenere un cofinanziamento nazionale “sostenibile” per l’Italia. In base alle attuali regole, per l’Italia il cofinanziamento Ue è al 50%, mentre per i paesi dell’est Europa giunge fino all’85%. Un passo nella giusta direzione, seppur temporaneo, è la decisione del Consiglio di consentire la destinazione dei fondi strutturali per il 2020 a progetti per fronteggiare l’emergenza sanitaria a completo carico dell’Ue. Nondimeno, l’obiettivo è di rendere permanente un cofinanziamento “sostenibile” per l’Italia che altrimenti, come già accade, non potrà utilizzare i fondi Ue per la scarsezza di risorse proprie aggiuntive.

Nel negoziato sulle prospettive finanziarie, l’Italia è stata negli ultimi anni in costante posizione di debolezza a causa di troppe quinte colonne. Lo dimostra la circostanza che in tutte le occasioni in cui si poteva utilizzare il potere di veto i negoziatori italiani non lo hanno mai impiegato. Nemmeno nelle occasioni in cui l’Italia è uscita più danneggiata dai negoziati europei. Questo non deve più accadere.

Subordinare impegni finanziari internazionali al rilancio economico nazionale: il nodo cooperazione

2. Dare un segnale di rigore negli impegni finanziari internazionali, che vanno subordinati al rilancio economico italiano. In questa cornice, occorre rivedere le voci della cooperazione allo sviluppo, che ammonta a circa 13 miliardi nel triennio 2020-2022. Parte di queste risorse devono essere destinate a progetti mirati alla ripresa economica nazionale, in particolare delle Pmi, anche se questo vorrà dire rivedere gli impegni bilaterali e multilaterali.

Sarebbe, questo, un segnale di attenzione verso i cittadini, disorientati dalla percezione che il sistema tende a privilegiare, senza mezze misure, immigrati e quanti non hanno alcuna intenzione di contribuire alla ripresa economica. L’incresciosa scarcerazione di esponenti della criminalità organizzata macchiatisi di efferati delitti è l’ennesima, squallida manifestazione di questo sfacelo dei pubblici poteri.

Progettare strumenti finanziari fondati su lavoro e economia reale

3. Varare strumenti finanziari che diano garanzie ai cittadini, evitando di fare leva su astratti provvedimenti “salva Italia” che si abbattono solo su di loro a colpi di patrimoniali.

Il patrimonio dello Stato italiano ammonta a circa 2.000 miliardi di euro e comprende anche immobili e terreni che non sono messi a reddito. Si potrebbe generare risorse creando un Fondo speciale che acquisti queste proprietà dallo Stato finanziandosi con l’emissione di titoli di debito (come dei Btp), con cedole premiali e garanzie fiscali ad hoc.

Cittadini e investitori sarebbero incoraggiati dalla garanzia del sottostante patrimonio dello Stato che il Fondo potrebbe alienare grazie a normative più snelle sulla fruibilità. In questi casi si potrebbe ricorrere a un bridge loan da parte delle banche di investimento che poi il Fondo ripagherebbe con l’emissione dei titoli.

Questa misura avrebbe fra l’altro due vantaggi. Primo, il Fondo sarebbe garantito da economia e asset reali. Secondo, lo Stato riceverebbe rapidamente le risorse corrispondenti alla quota di patrimonio immobiliare alienata. Essenziale, ai fini della riuscita del progetto, la certezza degli investitori circa la stabilità del quadro legale e fiscale.

Delegificazione, appalti e infrastrutture per le imprese, non elemosina

4. Occorre un coraggioso, organico pacchetto di misure di delegificazione e semplificazione amministrativa a vantaggio di tutte le attività produttive, incluso il comparto degli appalti. Lo Stato ha il dovere di liberare gli operatori economici da vincoli irragionevoli e di impostare il rapporto con i cittadini sulla base della fiducia, non della sfiducia. Le imprese non vogliono elemosine, né vogliono truffare lo Stato. Vogliono lavorare.

La deregulation porterebbe evidenti vantaggi. Primo, sarebbe a costo zero per lo Stato. Secondo, se attuata con determinazione e comunicata bene, avrebbe effetti rapidi sulla ripresa e sull’attrazione degli investimenti. Terzo, consentirebbe il varo di un coerente programma “rooseveltiano” di investimenti in reti infrastrutturali per facilitare la mobilità di persone, merci e informazioni: ciò con il risultato economico di ridurre la distanza fra il Mezzogiorno e i mercati europei e il risultato politico di riavvicinare Sud e Nord Italia.

Per guadagnare tempo, sarebbe opportuno importare le migliori prassi estere. A tale fine, la rete diplomatico-consolare potrebbe svolgere un’utile attività di intelligence. E, per fare prima ancora, occorrerebbe avere l’umiltà di guardare alla Svizzera, che in materia di rigore e democrazia ha poche lezioni da prendere. E, ci sia perdonata la malizia, dove i codici sono già disponibili anche in lingua italiana, giacché l’italiano è una delle lingue ufficiali della Confederazione.

Un tema etico, superare la lacerazione fra cittadini e Stato

Sono, queste, tutte misure che hanno un evidente profilo etico. Esse, infatti, sciolgono il nodo di fondo, che è costituito dal recupero della fiducia e della coesione nazionale, chiave del superamento della lacerazione fra cittadini e Stato. Il momento è grave anche perché, come prima accennato, il governo è minoranza nel paese. Non appare casuale, quindi, che le politiche varate in queste settimane sono tutto ciò di cui l’Italia non ha bisogno: rispondono, infatti, a logiche aliene dall’interesse dei cittadini.

Anzi, le misure dell’esecutivo, per ora molto più annunciate che realizzate, stanno rendendo il futuro degli italiani più minaccioso. Nel pieno della crisi economica arriveranno le temute scadenze fiscali. Chi potrà esportare i propri risparmi o capitali lo farà: no fiducia, no coesione. Rischia di scattare il “si salvi chi può”.

Cittadini e loro diritti al cuore della politica economica

In quest’ottica, l’attuale negoziato europeo, così come il dibattito italiano hanno il sapore di una surreale farsa. La ricostruzione dell’Italia si avrà solo a colpi di dignità, non a colpi di patrimoniale.

Le politiche redistributive tanto care alla sinistra, che regolarmente tornano al centro del dibattito, non sono sufficienti. In assenza di crescita e sviluppo, si tratta di un gioco a somma zero. La verità, nella sua crudezza, è semplice: gli italiani sono un popolo che si sente insicuro nei propri confini. È a questa, non infondata, percezione che la politica deve rimediare, rimettendo al cuore della sua azione i cittadini e i loro diritti.

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