La lettera aperta al Fatto Quotidiano da Alessandro Di Battista su Ue e Mes ha rinfocolato le polemiche nella maggioranza di governo. Questa volta sulla politica estera.
Queste fibrillazioni politiche alimentano ulteriori perplessità circa il costante moltiplicarsi delle linee di frattura che dividono il governo Conte.
Lettera di Di Battista, prisma per capire politica estera M5S
Ciò che qui preme rilevare, tuttavia, è che la lettera di Di Battista è un utile prisma per comprendere idee, concetti e immaginario alla base della visione di politica estera del M5S.
Di Battista prende spunto da una visione realista dell’Ue, “che ha strangolato la Grecia per depredarla”. Nel ribadire la contrarietà del M5S al Mes e in generale alle politiche di austerità, suggerisce che in sede negoziale l’Italia adotti una linea dura, fondata su una combinazione di due tattiche.
Mettere sul tavolo il revolver Italexit
Primo, utilizzare il peso determinante dell’Italia. Ciò sulla base dell’assunto che senza l’apporto della terza potenza economica, nonché seconda industriale d’Europa, “l’Ue si scioglierebbe come neve al sole”.
In altri termini, porre sul tavolo il revolver Italexit, nella convinzione – in buona sostanza fondata, ad avviso di Diplomazia italiana – che dopo la Brexit l’uscita dell’Italia determinerebbe di fatto la fine del processo di integrazione europea. E, di conseguenza, arrecherebbe un danno economico enorme alla Germania e ai suoi satelliti.
Una diplomazia triangolare Italia-Cina-Ue
Secondo, giocare di sponda con la Cina per rafforzare il peso negoziale dell’Italia in sede Ue. L’Italia – osserva Di Battista – vanta “un rapporto privilegiato con Pechino che, piaccia o non piaccia, è anche merito del lavoro di Di Maio”.
Il prossimo futuro riserverà mutamenti epocali degli equilibri internazionali, da cui l’Italia potrebbe trarre vantaggio: “la Cina vincerà la terza guerra mondiale senza sparare un colpo e l’Italia può mettere sul piatto delle contrattazioni europee tale relazione”. La Cina, prosegue l’esponente M5S, uscirà meglio di ogni altra potenza dalla crisi covid-19, anche sotto il profilo dell’immagine: “la Cina ha utilizzato al meglio il soft power, è riuscita a trasformare la sua immagine da untore ad alleato nel momento del bisogno”.
Con questo governo, revolver Italexit è una pistola scarica
Tuttavia, diversi motivi portano a ritenere che il revolver Italexit sia in realtà un’arma scarica.
- La partecipazione del Pd al governo rende l’Italexit una scelta politica letteralmente inimmaginabile. Orfano dei padroni di Mosca e nel timore di finire ai margini dei giochi politici in Italia e in Europa, a metà degli anni ’90 l’allora Pds fece la scelta strategica di sposare un acritico e dogmatico europeismo. A circa 25 anni da quella decisione, il Pd è oggi il garante degli interessi Ue in Italia, come dimostra la recente mobilitazione a favore del Mes di esponenti di partito, intellettuali e giornalisti organici e sardine varie.
- Minacciare l’Italexit senza avere la determinazione di andare sino in fondo sarebbe più dannoso che inutile. Occorrerebbe un governo con forte consenso popolare e un mandato politico. Occorrerebbe una preparazione del “leave” sotto tanti profili – economico, giuridico, sociale, di comunicazione, ecc. – che non si improvvisa in poche settimane. Se i nostri interlocutori europei chiamassero il bluff, chinando il capo l’Italia subirebbe un danno di credibilità che durerebbe generazioni.
- Di fronte alla prospettiva Italexit sarebbe da attendersi una reazione di altri paesi europei per rovesciare il governo italiano e favorire la formazione di un nuovo esecutivo. I torbidi retroscena della caduta del governo Berlusconi nel 2011 documentate da Tim Geithner, testimone diretto in qualità di esponente dell’amministrazione Obama, insegnano che in Europa ci sono diversi attori che dispongono di armi affilate e di quinte colonne per determinare il corso degli eventi politici in Italia, così come della necessaria spregiudicatezza.
Perché la carta Cina non appare vincente
Anche la tattica ventilata da Di Battista di appoggiarsi alla Cina per rafforzare il peso negoziale dell’Italia in sede Ue appare inconsistente.
- Pechino è molto lontana dal poter puntare al primato mondiale. Il suo strumento militare – che più di ogni altro determina il rango fra potenze – ha una capacità di proiezione e una force de frappe infinitamente minore di quello Usa. Parimenti, la narrativa secondo cui Pechino starebbe vincendo la partita del soft power è sempre più contraddetta dai fatti, come dimostra la recente, dura presa di posizione di Angela Merkel circa le responsabilità cinesi nell’emergenza Covid-19.
- La Cina è innanzi tutto l'”Impero di Mezzo”. La sua politica estera si fonda su una storica, prudente vocazione continentale e ha per obiettivo il rafforzamento sullo scacchiere asiatico e il consolidamento delle sue marche, Tibet e Xinjiang. Tutte le altre issues di interesse di Pechino – in primis, Pacifico e rapporti transpacifici, sicurezza energetica, Africa – sono di matrice più recente e vedono la Cina agire con cautela, evitando contrapposizioni frontali. Difficile, dunque, che in ragione di un asserito “rapporto privilegiato” la Cina si ingerisca a favore dell’Italia in teatri come quello europeo, dove giocherebbe in condizioni di inferiorità, oltretutto provocando reazioni di potenze come Germania e Usa.
- Il principale partner europeo della Cina è proprio quella Germania contro cui Di Battista sogna di scagliare la forza d’urto cinese. Piaccia o non piaccia al M5S, i profondi rapporti commerciali e industriali bilaterali, che l’Italia non appare in alcun modo in grado di emulare, sono la garanzia che Berlino resterà l’interlocutore principale di Pechino in Europa.
Allineamento con la Cina, quale impatto su azione internazionale dell’Italia
Per quanto da relegare più nella categoria dell’ucronia che non degli scenari concreti, un riallineamento con la Cina genererebbe all’Italia più problemi di quanti non sarebbe destinato a risolverne. Si può anche sorvolare sui toni da tribuno della plebe degli esponenti M5S. Nondimeno, è lecito nutrire riserve sulla loro visione di politica estera, che non sembra tenere conto dei vincoli dell’Italia, degli equilibri di potenza e degli interessi degli attori in gioco.
Nella triangolazione con Cina e Ue, l’Italia sarebbe il giocatore debole. Una tattica come quella evocata dall’esponente M5S rischierebbe di trasformare l’Italia nel cavallo di Troia della Cina nell’Ue. Oltre che una strumentalizzazione indifendibile sarebbe, questo, un grave ridimensionamento per l’Italia, che da soggetto diventerebbe oggetto nel quadro dei giochi politici in Europa. Oltretutto, in uno scenario di crescente sfiducia e sospetto delle capitali del Vecchio Continente.
Sarebbero prevedibili, poi, pesanti conseguenze nei rapporti con gli Stati Uniti e, di conseguenza, con l’Alleanza atlantica nella quale l’Italia è incardinata dal secondo dopoguerra. Oltre 70 anni di collaborazione, sia sotto il profilo delle scelte politiche di fondo, sia sul piano dell’impegno militare, della condivisione di intelligence, nonché della collaborazione in campo industriale-militare. Un avvicinamento alla Cina avrebbe effetti dirompenti su questi equilibri e arrecherebbe un grave vulnus alla credibilità dell’Italia come partner politico e alleato militare.
Parimenti, l’Italia ha un interesse strategico alla stabilità del Mediterraneo allargato, uno scacchiere storicamente turbolento. Senza Usa e Nato, da sola l’Italia non avrebbe la potenza per farsi garante della stabilità desiderata. Appare difficile, tuttavia, che la Cina accorra a dare manforte: il Mediterraneo non è per lei un’area nevralgica; inoltre, inserirsi nella partita mediterranea metterebbe Pechino in rotta di collisione con altre potenze, in primis gli Usa. L’Italia sarebbe giocoforza costretta a ridimensionare la sua politica mediterranea oppure ad aumentare in modo consistente le spese per la difesa, che è proprio ciò che Di Battista – a quanto scrive al Fatto Quotidiano – censura.
Politica estera M5S in una prospettiva storica
In una prospettiva storica, la linea propugnata dall’esponente M5S si inserisce in una della peggiori tradizioni della politica estera italiana. Ci si riferisce qui alla prassi di allineare l’Italia al vincitore o, meglio, all’atteso vincitore di un confronto internazionale in modo da partecipare alla divisione delle spoglie degli sconfitti. Una linea perniciosa che, allineando la più debole Italia a potenze maggiori, ha sempre finito per subordinare l’interesse italiano a quello altrui.
Appare sinistra, in questo senso, l’asserzione di Di Battista secondo cui “la Cina vincerà la terza guerra mondiale”. Difficile non andare con la memoria al progressivo avvicinarsi dell’Italia al Terzo Reich nella seconda metà degli anni ’30: da una fase di sostanziale contrapposizione su issues come l’indipendenza dell’Austria, Roma si legò mani e piedi a Berlino con il Patto d’Acciaio, fino alla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale.
Politica estera M5S e questione etica
Quest’ultimo punto non può non sollevare anche un problema etico. In modo prudente ma determinato, in qualunque quadrante agisca la Cina mira a stabilire una forma di dominio che nel lungo termine si propone di imporre il proprio modello politico e sociale.
Tenuto conto di questa circostanza, appare grave che il M5S guardi a Pechino come punto di riferimento. Era dal crollo dell’Unione Sovietica e del blocco comunista che una forza politica italiana non guardava a una dittatura come modello e alleato. Questa infatuazione del M5S per il “modello Cina” costituisce una grave regressione del livello della politica italiana cui non si può non guardare con preoccupazione.
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