Una recente intervista a Francesca Totolo, ricercatrice messa all’indice dal quotidiano La Stampa per via delle sue inchieste su immigrazione clandestina e Ong, riveste particolare interesse in quanto permette di mettere a fuoco alcuni dati.
Il primo è il sistematico tentativo dell’establishment politico, culturale e mediatico di screditare le voci dissenzienti rispetto alla narrativa globalista e immigrazionista. La Totolo, per gli osservatori dell’attualità internazionale, ha fama di ricercatrice indipendente e rigorosa nell’accertare i fatti e controllare le fonti. Tuttavia, poiché con le sue inchieste ha portato alla luce il ruolo controverso delle Ong, la Totolo è ora messa all’indice come produttrice di fake news. Viene presentata come influencer, neanche la sua attività fosse di promuovere calzature e borsette di lusso.
Il solito vecchio trucco: poiché non si può screditare il lavoro della Totolo, serve delegittimare la persona. D’altronde, viene da pensare che se la nomenklatura “open border” ordina a pesi massimi come il demofobo Saviano di scendere in campo per aggredire la Totolo, vuol dire che le sue inchieste hanno colpito nel segno.
Screditare le persone, non combattere le idee: antico vizio di mondialisti e sinistra
Il secondo è l’opacità delle Ong. La ricercatrice ha chiesto in vari modi di interloquire con le Ong e di assistere alla loro attività. Ha chiesto anche di poter salire a bordo delle loro navi durante le operazioni in mare. Le sue richieste non hanno avuto risposta. A questo punto, sorge una domanda: non sarebbe meglio per le Ong far salire a bordo dei loro natanti degli osservatori, magari anche quelli critici come la Totolo, per poter depotenziare i loro argomenti? Certo, sarebbe necessario che le Ong non abbiano nulla da nascondere…
Quelli delle Ong non sono soccorsi, ma traghettamenti
Il terzo dato, agghiacciante, è la sostanziale collusione fra Ong e trafficanti di esseri umani: quando le navi delle Ong sono all’ormeggio, spiega la Totolo, le partenze degli immigrati si azzerano. Viceversa, quando i natanti delle Ong escono dai porti, i trafficanti di esseri umani si precipitano alle loro carrette del mare, le stipano di povera gente, come se fosse bestiame, e fanno rotta verso i punti di incontro prestabiliti, come dimostrano i tracciati delle rotte seguite dalle navi. La causa delle tante tragedie avutesi nel tratto di mare fra Italia e Libia è proprio il business degli immigrati, nuova tratta negriera del XXI secolo.
Il quarto è che con le sue inchieste la Totolo rende giustizia alla Guardia Costiera libica e alla sua attività. Nelle ultime settimane si è assistito ad una parossistica campagna politico-mediatica volta a presentare la Guardia Costiera libica come un’organizzazione di assassini per poter affermare il principio che quelli della Libia non sono porti sicuri. E continuare così a sbarcare masse di clandestini in Italia. La ricercatrice invece osserva che la Guardia Costiera libica è addestrata dai guardiacoste italiani e dal personale della flotta dell’operazione Sophia. E ricorda che nello svolgimento della sua attività è costantemente monitorata dalle unità di Sophia. Di conseguenza, essa tende ad agire in linea con il diritto internazionale e con le istruzioni di Frontex.
Francesca Totolo viene attaccata perché mette in evidenza verità scomode
Quanto emerge dall’intervista è, per un verso, avvilente. Con le sue inchieste, Francesca Totolo ha fatto un’operazione di ricerca della verità. Ha cercato di capire le radici dell’immigrazione di massa che ha investito l’Italia negli ultimi anni. E la verità che ha portato alla luce è scabrosa: l’esplosione dei flussi migratori risponde ad una precisa agenda politica e si avvale del sostegno di organizzazioni criminali.
In altri termini, la Totolo ha osato dire l’indicibile. Ha rotto la cappa di pigro e interessato conformismo, secondo cui l’immigrazione è un fenomeno inevitabile e necessario. Ha detto il vero. Per questo viene indegnamente attaccata.
Da un altro punto di vista, invece, vi sono motivi di ottimismo. L’esempio della Totolo insegna che con amore per la verità, attenzione per i fatti, fonti attendibili e coraggio, è possibile fare inchieste serie e autorevoli su fenomeni complessi come l’immigrazione. Inchieste che dimostrano che i fatti sfatano la narrativa mondialista, ormai sempre più scollegata dalla realtà. Le reazioni sempre più scomposte e livorose dei mondialisti dimostrano che la strada della ricerca della verità è quella giusta.
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