Lo studio Thinking the Unthinkable spiega perché le classi dirigenti mondiali si fanno sempre sorprendere dai cigni neri e non colgono i rischi geopolitici che corre l’umanità.
I rischi geopolitici e l’incapacità delle leadership
Pochi mesi prima della sua scomparsa nel 2017, il celebre sociologo Zygmunt Bauman lanciò un monito inquietante sul futuro dell’umanità; paragonò quest’ultima ad un individuo che cammina su un campo minato ignorando l’ubicazione delle cariche esplosive.
Egli evidenziò inoltre il venire meno di strutture solide su cui il genere umano potesse fare affidamento data l’incapacità dei Governi più potenti di soddisfarne le aspettative.
Le parole di Bauman denunciarono quindi i crescenti rischi geopolitici planetari e l’inadeguatezza delle principali leadership politiche ed economiche ad affrontarli; ma sembrarono tuttavia celare un malessere più profondo e preoccupante.
Un pericoloso nesso di casualità tra la crescita dei rischi geopolitici (i cosiddetti Cigni Neri, eventi rari, di forte impatto e difficilmente prevedibili) e i limiti delle leadership nel prevederli ed affrontarli.
Benché l’azione umana nel corso della Storia sia stata sempre costellata da deficit cognitivo-previsionali, siamo ormai al paradosso che al costante miglioramento degli strumenti informativi, d’indagine e di approfondimento non corrisponda lo speculare aumento nelle capacità di prevedere e risolvere le crisi.
Pearl Harbour, l’invasione nazista dell’Urss, la Rivoluzione in Iran, il crollo dell’Unione Sovietica, la nascita del terrorismo islamista, i melt-down finanziari, le Primavere Arabe, la Brexit e l’elezione di Trump, solo per citare alcuni casi, lo testimoniano.
I Cigni neri nascono sempre più spesso
I Cigni Neri stanno crescendo così diffusamente da preoccupare anche i principali attori finanziari.
Due giganti come Morgan Stanley e Investcorp hanno da poco varato congiuntamente uno dei primi hedge funds al mondo basati prevalentemente sull’analisi dei rischi geopolitici.
Durante la Guerra fredda, le crisi risultavano meno complesse e più gestibili, complice anche la deterrenza nucleare.
Nel Ventunesimo secolo, invece, sono divenute più numerose, complicate e interconnesse: neo-assertività russo-cinesi, Afghanistan, Corea del Nord, Medio Oriente, terrorismo, integralismi religiosi e conflitti settari, cambiamenti climatici, migrazioni di massa, epidemie, cyber-crime, effetti perversi della globalizzazione, volatilità finanziaria, ecc.
Un insieme di sfide che moltiplicano incertezze e insicurezze determinando xenofobia, intolleranza e razzismo, anche nelle democrazie liberali, e contestazioni a pilastri fondativi dell’ordine internazionale come l’Onu, le intese di Bretton Woods, il Wto e l’Ue.
Incapacità previsionale, attenti ai modelli comportamentali
Studi recenti indicano tuttavia come incapacità previsionali, inadeguatezze gestionali ed errori decisionali, non siano solo il frutto casuale dei limiti umani, ma di precisi modelli comportamentali che, purtroppo, vengono adottati sempre più sistematicamente con gravi conseguenze.
Un recente rapporto, intitolato Thinking the Unthinkable, ne ha identificati alcuni: conformismo istituzionale e manageriale, cecità ostinata, pensiero unico o di gruppo, avversione ai rischi, tutela della carriera, negazione della realtà, sovraccarichi e dissonanze cognitive, atteggiamenti mentali reazionari.
Il loro combinato disposto influenzerebbe negativamente diversi decision-makers, i quali tenderebbero a loro volta ad avvalersi sempre più spesso di fedeli esecutori che si appiattiscono sulle loro “visioni”, rinunciando a contestualizzarle e a razionalizzarle, piuttosto che di esperti competenti ed intellettualmente onesti.
Da ciò deriverebbe che chi pensa fuori del coro, offrendo verità sconvenienti e soluzioni non ortodosse, viene epurato. Al netto di quanto affermato il risultato è che le crisi sono in aumento mentre le capacità di prevederle e di prevenirle in calo.
Con un’aggravante: queste modalità comportamentali deficitarie, nel tentativo di risolvere le crisi, finirebbero invece maldestramente per inasprirle. Appare difficile negare tale conclusione osservando come siano stati gestiti negli ultimi anni dossier come Iran, Iraq, Siria, Libia, questione palestinese, Yemen; dobbiamo solo sperare che in questa casistica non finisca anche la radioattiva questione nord-coreana, per il momento l’annunciato vertice tra Trump e Kim Jong Un fa tirare un sospiro di sollievo.
I potenziali danni derivanti da questi limiti abbinati ad un diffuso impoverimento di competenze delle classi dirigenti e politiche sono divenuti un tema dibattuto anche nella recente campagna elettorale italiana, dove queste carenze, invece di essere fonte di profondo imbarazzo, sono state addirittura rivendicate orgogliosamente da diversi candidati in diversi raggruppamenti.
L’Umanità è incapace di imparare dalla Storia
Naturalmente, deficit previsionali e decisionali derivano anche da quella che Hegel definiva la congenita tendenza dell’umanità ad ignorare le lezioni della Storia.
Nonostante uno dei padri del neo-classicismo, Johann Winckelmann, abbia giustamente ricordato che
“alcuni debbano pur sbagliare perché altri proseguano sulla retta via”,
l’ignoranza di alcune classi politiche e dirigenti sulla Storia e le sue lezioni è purtroppo giunta a livelli abissali; essa è spesso corredata dall’appiattimento su letture fuorvianti o deviate degli eventi propinate da apprendisti stregoni e da prezzolati think-tanks autoreferenziali.
Il Medio Oriente, ad esempio, è uno dei più illuminanti esempi dei danni devastanti prodotti da questo distillato d’ignoranza.
Il quadro desolante che si profila è che, mentre rischi e crisi aumentano, l’umanità appare determinata ad un uso sempre più ridotto del suo dono principale, l’intelletto; degenerazione confermata anche dalla diffusa prassi di delegare numerose decisioni finanziarie a degli algoritmi.
In conclusione, appare a dir poco curioso che possa essere una disciplina artistica, il cinema, ad offrire una possibile via d’uscita.
Benché il quesito possa apparire banale o poco accademico, varrebbe la pena interrogarsi sul perché Hollywood con i suoi film abbia sempre anticipato governi e centri studi nel predire minacce e rischi?
Ebbene la risposta è assai semplice: ha lasciato ampia libertà creativa ai propri autori. Adottarla anche nelle istituzioni governative ed economiche potrebbe rivelarsi lungimirante.
I Cigni Neri, forse, inizieremmo almeno ad avvistarli tempestivamente.
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