Strumenti del pensiero: Tucidide, “La guerra del Peloponneso”.

Grecia, 431 a.C. A meno di sessant’anni dallo scontro fra città greche e Persia che aveva posto per sempre termine alla spinta persiana verso occidente deflagra un nuovo, terribile conflitto. Una guerra egemonica fra Atene e Sparta, potenze dominanti della regione, che si concluderà nel 404 a.C. Uno scontro destinato a cambiare la storia della Grecia e della civiltà occidentale. Tucidide ne è testimone.

Atene, che dal trionfo sulla Persia aveva ottenuto il dominio sul mondo greco, subiva una durissima sconfitta e la fine del suo primato. Ma la guerra, che durò più di una generazione, impose un prezzo altissimo a tutti. Troppe le vite spezzate. Troppe le risorse economiche distrutte. Sparta, dissanguata dalla perdita dei suoi migliori guerrieri, poche generazioni dopo usciva dalla storia per entrare nella leggenda a seguito di tre rovesci militari (Leuttra, 371 a.C. e Mantinea, 362 a.C. a opera di Tebe; Megalopoli, 331 a.C. a opera della Macedonia). La Grecia vedeva tramontare il secolo d’oro della sua civiltà e cessava di essere la protagonista politica dell’era a vantaggio di attori ormai più vitali, la Macedonia prima e Roma poi.

Il triplice tramonto di Atene, Sparta e della civiltà della Grecia

Aristocratico ateniese, Tucidide fu testimone del conflitto e servì nell’esercito della sua città come generale. Con “La guerra del Peloponneso” realizzò quella che è considerata la prima monografia storica e un capolavoro di indagine e analisi della politica internazionale.

Tucidide sgombra il campo da tutto ciò che non è fatto storico: niente oracoli, niente interventi divini, in discontinuità con la letteratura precedente. Mostra la guerra con realismo. La sua violenza. Gli interessi in gioco. L’offuscarsi della morale e della misericordia. Dice Tucidide: “sarà per me sufficiente che sia giudicata utile da quanti vorranno indagare la chiara e sicura realtà di ciò che in passato è avvenuto e che un giorno potrà pure avvenire, secondo l’umana vicenda, in maniera uguale o molto simile. Appunto come un acquisto per l’eternità è stata essa composta, non già da udirsi per il trionfo nella gara d’un giorno.”

Le relazioni internazionali si spiegano con le cause profonde

Nel Libro I Tucidide spiega le cause della guerra.

Fra le cause dirette, la questione di Corcira che, in conflitto con Corinto, si alleò con Atene alterando gli equilibri di potenza a svantaggio di Sparta; la questione di Potidea, colonia di Corinto che, defezionando dalla Lega di Delo, provocò la reazione di Atene che la mise sotto assedio; la questione di Megara, cui Atene impose un blocco commerciale perché fedele a Corinto.

Ma, per Tucidide, la causa profonda della guerra del Peloponneso fu la volontà di Sparta di opporsi al sempre più aggressivo imperialismo di Atene, che dalla fine delle guerre persiane non aveva cessato di rafforzare il proprio dominio sul mondo ellenico comprimendo progressivamente l’autonomia e la libertà delle altre poleis: “la vera ragione (…) io ritengo che sia stata la grande potenza raggiunta dagli Ateniesi; essi, incutendo timore agli Spartani, li costrinsero a dichiarare la guerra.”

Una guerra egemonica. Un conflitto dettato dall’interesse che doveva tenere conto di un quadro politico che non lasciava alternativa fra dominare o essere dominati. Questa tragica alternativa spiega “perché mai tra i Greci sia scoppiata una guerra così violenta.”

Le cause profonde sono un’intuizione geniale di Tucidide. Spiegano che, ieri come oggi, la politica estera si basa sull’utile, su interessi, su dinamiche di potere, su fattori costanti, che prescindono dal colore o dalle ideologie dei governi, così come dal giusto e dall’ingiusto.

Per questo la politica estera è una politica di Stato, non di governo

Ecco perché l’ostilità di Gran Bretagna e Stati Uniti ad ogni dinamica di integrazione fra capitale dell’Europa e risorse naturali della Russia è un dato strutturale che prescinde dai regimi politici. Questo spiega le tensioni con la Russia, il cui avvicinamento a diversi Paesi europei, fra cui Italia e Germania, nei primi anni 2000 ha destato grandi preoccupazioni a Washington.

Si pensi anche alla Cisgiordania, area costituita da un crinale che assicura il controllo delle pianure costiere a ovest e del bacino del Giordano a est: da quale alture è possibile colpire un’area in cui vive il 70% della popolazione, le principali infrastrutture dei trasporti e le industrie di Israele. Di conseguenza, è ovvio che a prescindere da eventuali sue aperture nei confronti di uno Stato palestinese, Israele non può rinunciare al controllo della Cisgiordania.

Illuminante al riguardo il dialogo fra Ateniesi e Melii (Libro V). Nel 416 a.C., Atene dà un ultimatum a Melo, colonia spartana che aveva scelto la neutralità: sottomettersi oppure essere distrutti. Gli argomenti di Melo e Atene sono lucidamente esposti in forma di dialogo fra coppie di opposti: giustizia/utile, diritto/forza, fede nella protezione degli dei/sicurezza del loro non-intervento, fiducia nella protezione di Sparta/scetticismo circa il suo aiuto.

Per Atene, le sue ragioni si fondano sulla forza:

“Da parte nostra, non faremo ricorso a frasi sonanti; non diremo fino alla noia che è giusta la nostra posizione di predominio perché abbiamo debellato i Persiani e che ora marciamo contro di voi per rintuzzare offese ricevute. (…) Poiché voi sapete quanto noi che, nei ragionamenti umani, si tiene conto della giustizia quando la necessità incombe con pari forze su ambo le parti; in caso diverso, i più forti esercitano il loro potere e i più deboli vi si adattano”. Oppure, secondo un’altra traduzione:

“I forti fanno come vogliono e i deboli soffrono come devono”

E ancora, gli Ateniesi ai Melii: “Gli dei (…), secondo il concetto che ne abbiamo, e gli uomini, come chiaramente si vede, tendono sempre, per necessità di natura, a dominare ovunque prevalgano per forze. Questa legge non l’abbiamo istituita noi e non siamo nemmeno stati i primi ad applicarla; così come l’abbiamo ricevuta e come la lasceremo ai tempi futuri e per sempre, ce ne serviamo, convinti che anche voi, come gli altri, se aveste la nostra potenza, fareste altrettanto.”

E anche: “(…) non riteniamo per noi pericolosi quei popoli che (…) ci vorrà del tempo prima che facciano a noi il viso dell’armi; (…) ci fanno paura (…) quelli che, qua e là, come voi, non sono sottomessi ad alcuno; e quelli che mal si rassegnano ormai ad una dominazione imposta dalla necessità. Costoro, infatti, molto spesso affidandosi ad inconsulte speranze, possono trascinare sé stessi in manifesti pericoli e noi con loro.”

L’esempio di Melo – osserva Tucidide – rischiava di incoraggiare emulazioni fra le altre poleis. Pertanto, andava punita in modo esemplare. Finiti senza esito i negoziati, gli Ateniesi assediarono Melo. Alla sua resa, uccisero tutti gli uomini in età d’armi e ridussero in schiavitù donne e bambini.

Anche la guerra civile è spiegata da Tucidide con una lucidità sconvolgente per la sua capacità di analisi e la sua modernità. Le rivali Atene, democratica, e Sparta, oligarchica, rappresentavano due modelli politici: in tutte le città greche vi era la stessa, fisiologica articolazione popolari-aristocratici. Durante la guerra avvennero due fenomeni. Primo, l’incremento della conflittualità interna alle poleis. Secondo, le fazioni iniziarono a chiamare in aiuto la potenza esterna che incarnava e tutelava i propri interessi di parte.

La guerra civile, disintegrazione dello Stato

Nel Libro III Tucidide narra della guerra civile a Corcira, paradigma di tutti i conflitti intestini. In questa terribile cornice ogni azione, per quanto riprovevole, è considerata lecita, ogni argine all’entropia collassa. Le convenzioni sociali, religiose e financo semantiche (“A loro talento cambiarono il significato abituale dei nomi, adattandoli alle circostanze”) che regolano la vita dell’organismo politico cessano di funzionare

Tucidide individua alcuni fenomeni che ricorrenti nelle guerre civili.

  • La confusione fra interessi di fazione e interessi personali: “(…) alcuni anche per rancori privati furono soppressi e altri uccisi per denari loro dovuti, da coloro che li avevano ricevuti”.
  • La sistematica marginalizzazione delle posizioni moderate: “chi irosamente inveiva su altri era sempre degno di fede; chi gli si opponeva era uomo da guardare con sospetto”.
  • La circostanza che il prolungato stato di guerra acuisce la brutalità anche all’interno dei organismi politici: “(…) quando regna la pace e fiorisce la prosperità, tanto le città quanto i privati cittadini hanno più serene le menti perché non avviene loro di cadere nella morsa di necessità spietate; ma la guerra (…) diventa maestra di violenze e conforma alle esigenze del momento le passioni della moltitudine”.
  • L’appello alle potenze esterne: “(…) i capi del popolo chiamavano in difesa gli Ateniesi, mentre i partiti oligarchici si rivolgevano a Sparta”.

Quasi 2.500 anni ci separano dall’epoca di Tucidide e dai tragici fatti di cui si è fatto narratore. Eppure le sue fulminanti intuizioni, la sua profondità di analisi, la sua capacità di individuare fenomeni costanti nella politica internazionale lo rendono così straordinariamente vicino.

Italia, serve una definitiva riconciliazione nazionale per affrontare le sfide della nostra era

Guardiamo all’Italia d’oggi. Alla sua rinnovata esigenza di muoversi nel mondo avendo chiare le cause profonde delle dinamiche internazionali, senza più “scommesse diplomatiche” fondate sull’irrealistico assunto della comunanza ideologica dei governi invece che sugli interessi degli Stati.

Alla necessità di elaborare un interesse nazionale basato sull’utile e condiviso fra tutte le forze politiche: un interesse autenticamente di Stato e non di parteSenza più “chiamare in soccorso lo straniero”: infausto mezzuccio che talvolta forse ha consentito di incidere sugli equilibri politici all’interno, ma che ha sempre gravemente nuociuto all’interesse e all’immagine del nostro Paese all’estero.

All’imperativo di operare per una definitiva riconciliazione nazionale, che lasci per sempre alle spalle le scorie del passato, nella consapevolezza solo il definitivo recupero della propria unità politica e morale permetterà all’Italia di avere una politica estera che sappia affrontare le sfide del mondo di oggi.

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